P. ANGELUCCI – MEZZETTI, Note su alcune carte amiatine del secolo XI riguardanti la riva sud-occidentale del Lago Trasimeno, in Epigrafi, documenti e ricerche. Studi in memoria di Giovanni Forni, a cura di M. L. Cianini Pierotti, Perugia-Napoli 1996, pp. 11-35; A. GROHMANN, Città e territorio tra medioevo ed età moderna (Perugia, secc. XIII-XVI), II, Perugia 1981; W. KURZE, Codex diplomaticus Amiatino, II, Tübingen 1982; Liber contractuum (1331-32) dell’Abbazia Benedettina di San Pietro in Perugia, a cura di Don C. Tabarelli, Perugia 1967; Memoria storico-artistica della chiesa di Santa Maria di Ancaèlle, a cura di G. Cialini, Perugia 1991; MONUMENTA GERMANIAE HISTORICA, Diplomatum Regum et Imperatorum Germaniae, III, Berolini 1957; S PIERI, Toponomastica della Valle dell’Arno, Ristampa dell’edizione di Roma 1919, Sala Bolognese 1983; G. RIGANELLI, Castrum Agelli. Un castello perugino e il suo territorio nel medioevo, Agello (Magione) 1992; G. RIGANELLI, Signora del Lago signora del Chiugi. Perugia e il Trasimeno in epoca comunale (Prima metà sec. XII-metà sec. XIV), Perugia 2002.
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Sant'Arcangelo
CHIESA E NUCLEO ABITATO DI SANTA MARIA D’ANCAELLE
Con S. Maria d’Ancaelle, in epoca medievale, si indicava la chiesa della comunità di Ancaelle; con il trascorrere del tempo, il titolo della chiesa è entrato a far parte del vocabolo e designa l’intera zona dove si trovava l’insediamento. Menzionata nel falso documento con cui nel 1014 Enrico II avrebbe confermato le proprietà spettanti all’abbazia di Farneta, in Val di Chiana, nel secolo XI la villa di Ancaelle si trovava nel territorio pertinente alla pieve di S. Rufino di Ripola. Nel mese di ottobre del 1074, Ugo figlio di Andrea Perusciensis lacus, insieme alla moglie Franca, donarono al monastero di S. Salvatore di Monte Amiata (Abbadia San Salvatore), due petie de aqua, quod vulgo duo torali di(cu)n(tu)r, ubicate in lacu Peruscino, infra plebem sancti Rufini, in villa que dicitur Ankaianla. L’insediamento si è sviluppato da quella che in epoca tardo antica era la massa de Ancagianula, una struttura di produzione agricola che nella seconda metà del secolo XI apparteneva alla Chiesa di Roma, e nel Duecento era dotato di una propria autonomia. Nel 1282, vi si censirono 29 nuclei familiari nel mese di giugno e 22 in dicembre, per una popolazione ipotetica che oscillava tra le 110 e le 145 unità. Nella prima metà del secolo XIV, questo abitato entrò a far parte del distretto castrense di Agello e, insieme a Ripa, ne costituiva una delle otto contrade in cui questo era suddiviso nel 1361. Il principale fattore economico di cui dovevano avvalersi coloro che risiedevano in questo insediamento erano la pesca e, se nella seconda metà del secolo XIII i pescatori locali dovevano rientrare nella posta di Agello, già nel corso dei primi decenni del successivo Ancaelle dovette costituirsi in posta autonoma. Accanto alla pesca doveva costituire un fattore economico l’agricoltura, basata sulla coltivazione della ristretta ma fertile area pianeggiante che si estende tra le colline e il Trasimeno, così come i boschi che ricoprono i rilievi. All’inizio dell’età moderna, questa comunità fu distaccata dal territorio agellese ed entrò a far parte di quello di S. Arcangelo.
In merito all’origine del vocabolo, Gianfranco Cialini fa risalire la lezione Ancaialla all’«etrusco Ancaru documentato nel territorio di Chiusi». Questo è «da collegare, per la comune radice, al nome ANCARIA, con il quale veniva designata la dea etrusca dell’agricoltura, che è quanto dire della fertilità». A fronte di simile origine e stante la presenza di un reperto etrusco, una «rappresentazione fallica [...] la cui parte terminale in pietra arenaria è di sicura autenticità» conservata all’interno della chiesa di S. Maria, l’Autore propone una continuità tra l’antico sito sacro e la struttura religiosa per cui «il mito sacrale della fertilità [...] passa da quello fallico della dea Ancaria a quello virginale di Maria. [...] In altri termini la Chiesa di Santa Maria di Ancaèlle [...] venne eretta sulle (o con le) rovine d’un precedente edificio (tempio o ara) dedicato ad Ancaria». Al di là degli aspetti sacrali sui quali si sofferma Cialini, occorre evidenziare come il legame proposto dallo stesso tra questo toponimo e l’etrusco Ancharu sia abbastanza fondato. La presenza di una massa nella tarda antichità, che in genere rinvia a quella di strutture di produzione agricola preesistenti, induce tuttavia la possibilità, concreta, di un’origine del vocabolo dal nome del proprietario fondiario. In questo caso potrebbe dunque trattarsi di strutture produttive appartenenti al soggetto etrusco o ad altri soggetti d’epoca successiva vista l’attestazione del personale latino Ancharius o Ancarius. Per quanto concerne la chiesa deve evidenziarsi come la stessa presenti elementi architettonici riconducibili al secolo XIII se non ad un periodo anteriore. Del resto la campana della stessa reca l’iscrizione 1268. La struttura religiosa, a mio avviso, fu edificata per comodità dei rustici che lavoravano all’interno della massa e fu alle dipendenze della pieve di S. Rufino di Ripola. All’inizio del Trecento la chiesa era alle dipendenze del monastero di Farneta, per poi passare sotto la soggezione della badia di S. Arcangelo. Al suo interno, oltre al già ricordato simbolo fallico in arenaria, si conserva un’acquasantiera, anch’essa in arenaria, ascrivibile alla prima fase d’erezione della struttura, nonostante sulla stessa sia incisa la data 1770 che, stando a Cialini, «è stata anacronisticamente apposta in occasione di uno degli ultimi restauri». Ma il vero gioiello della chiesa sono i pregevoli dipinti che si trovano al suo interno. FOTOGALLERY |
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