Chiese

ARCHIVIO PARROCCHIALE DI SAN SAVINO, buste 55, 56 e 57; G. RIGANELLI, San Savino: una comunità e il suo territorio nell’antichità e nell’età di mezzo, in, San Savino e il suo territorio nel corso dei secoli, a cura di G. Riganelli Magione 2010, pp. 1-41;V. RUGGERI, San Savino in età moderna. Una comunità nello specchio delle sue chiese, in, San Savino e il suo territorio cit., pp. 43-114.


San Savino
CHIESA DI SAN SAVINO
Pur potendo annoverare la precocissima fondazione di una struttura plebana probabilmente già all’inizio del VII, assurta ben presto a punto focale per il territorio e per il vicino abitato fortificato cui trasmetterà il nome del santo titolare, l’attuale chiesa parrocchiale di San Savino ha origini differenti e più vicine nel tempo. L’edificio addossato alle mura esterne del castello, infatti, nasce come semplice oratorio di diritto privato appartenente alla locale confraternita di Santa Maria Maddalena, che insieme a quella del Santissimo Sacramento, alimentava pratiche liturgiche e devozionali del laicato parrocchiale, entrando dunque in concorrenza crescente, lungo l’intero secolo XVI, con le prerogative di cura d’anime della chiesa plebana. Quest’ultima, situata ai piedi del colle dove sorge il castello, nella zona degli emissari (significativamente non lontano da un antico santuario pagano), dovette risultare vieppiù malagevole e inadeguata, gradualmente abbandonata a se stessa, disertata dagli stessi parrocchiani che preferivano ascoltar messa, anche nei giorni di precetto, presso la chiesa confraternale, nonostante i divieti e le ingiunzioni vescovili a favore del rispetto della gerarchia funzionale dei diversi edifici sacri.
All’inizio del secondo decennio del Seicento, il trasferimento del fonte battesimale dall’antica pieve alla chiesa confraternale sancisce anche canonicamente il passaggio di tutte le prerogative parrocchiali e funzionari ali. Il vecchio edificio sacro in riva al lago resterà in piedi, trascurato e semidiruto, almeno fino alla prima metà del XVIII secolo, mentre la chiesa di Santa Maria Maddalena, catalizzando su di sé una ricca dotazione di legati pii e sacre elemosine, andava costituendo un patrimonio economico e fondiario sufficiente ad intraprendere una vigorosa opera di restauro e riqualificazione dell’edificio sacro. Grazie alla intraprendenza e alla determinazione del parroco don Fabio Bani, l’8 maggio 1747 il vescovo di Perugia mons. Francesco Riccardo Ferniani poteva solennemente consacrare, trasferendo definitivamente anche il titolo parrocchiale di San Savino, una "nuova” chiesa, profondamente trasformata soprattutto negli interni, scanditi dai tre diversi altari su cui si polarizzava un’assai articolata pratica di devozioni laicali fatta di confraternite, priorate, questue e congregazioni di carità, prime fra tutte quella del Santissimo Sacramento, aggregata fin dal 3 luglio 1727 all’omonima arciconfraternita romana di Santa Maria Sopra Minerva.
Nel corso del XIX secolo, una volta superata la burrascosa parentesi delle occupazioni napoleoniche, l’edificio parrocchiale subì due importanti interventi di manutenzione straordinaria, il primo nel 1819, «col farvi la volta e la decorazione in mattoni alla porta d’ingresso, e allora il tetto venne verso la fronte fatto a padiglione», il secondo, di ben maggiore impatto sul piano strutturale, nel primo decennio del Novecento, giunto a conclusione di una lunga e tormentata vertenza giudiziaria tra l’allora parroco don Carlo Spaglicci e il sindaco del Comune di Magione, tendente a stabilire su chi gravassero gli oneri di mantenimento degli edifici di culto dopo la secolarizzazione dei beni ecclesiastici. Nonostante la sentenza del Regio Tribunale Civile di Perugia obbligasse il municipio a completare i restauri della chiesa e a rimborsare al parroco l’anticipo di spesa sostenuto, l’intervento non riguardò che le più urgenti questioni di statica, come prescritto dalla perizia dell’ingegnere civile inviato dal tribunale, accantonando quindi quasi completamente l’ambizioso progetto di restauro «in stile bizantino, con archetti laterali, e nella tribuna una piccola abside» proposto, su commissione del parroco, dall’architetto perugino E. Vignaroli. L’acquisto nel 1925 da parte del parroco don Carmelo Barboni dell’imponente crocifisso ligneo, per ospitare il quale veniva ricavata, nel muraglione del castello, una splendida cappella laterale riccamente decorata (di cui nel 1979 le continue infiltrazioni d’acqua hanno purtroppo imposto la chiusura), ha segnato l’avvio, a un decennio di distanza, delle Feste giubilari in onore del Santissimo Crocifisso, che, a cadenza venticinquennale, declinano con rinnovato impulso corale le tradizioni popolari, le pratiche di pietà e la devozione cristologica che da sempre hanno animato la parrocchia.


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