personaggi storici

G. RIGANELLI, Millecinquecentodue: «una dieta alla Magione», in «Bollettino della deputazione di storia patria per l’Umbria», CIV (2007), pp. 181-199.


Magione
LA «DIETA» DI MAGIONE CONTRO CESARE BORGIA
Tra il gennaio del 1500 e l’estate del 1502, le operazioni militari intraprese dal Valentino, che gli avevano permesso di impossessarsi dell’intera Romagna e parte delle Marche, avevano indotto tutta una serie di altri scontri bellici anche fuori dal territorio romagnolo. La nuova realtà politica che si era venuta configurando vedeva la netta egemonia dei Borgia, del pontefice Alessandro VI e di suo figlio Cesare, su tutti i territori della Chiesa. Si era generata una situazione in cui, sebbene alcuni signori continuassero ad esercitare il proprio potere su alcune delle maggiori città dell’Umbria e delle Marche, l’esercizio di signoria non era più connotato da quella autonomia che gli stessi invece pretendevano. Tutto appariva vincolato alla potenza del pontefice e del proprio figlio. Se a questo si aggiunge la precaria posizione politica in cui venne a trovarsi la potente famiglia Orsini dopo il crollo degli Aragonesi cui era alleata, crollo che diede via libera ai Borgia per agire contro il casato romano, il quadro complessivo si delinea nei suoi tratti essenziali e ben si comprendono i motivi che spinsero costoro, insieme ad altri nobili dell’Italia centro-settentrionale, a congiurare contro il Valentino.
Intorno alla metà di settembre del 1502 il cardinale Giovanni Battista Orsini si trovava in Magione, presso l’ospedale gerosolimitano di S. Giovanni di cui era commendatario. Con lui vi era anche un altro membro della famiglia, Paolo, figlio del cardinale Latino e ad essi se ne aggiunse un terzo, Francesco, duca – o conte – di Gravina, che s’era ritratto dal servigio del Borgia. Fu dietro la convocazione da parte del cardinale Giovanni Battista, avutasi con missive segrete ad essi indirizzate, che si unirono agli Orsini altri nobili dell’Italia centro-settentrionale. Sul finire di settembre o ai primi del mese successivo, si ritrovarono così nella struttura ospedaliera di Magione Gian Paolo Baglioni, signore di Perugia, Antonio da Venafro, ministro e uomo di fiducia di Pandolfo Petrucci signore di Siena, Ermes Bentivoglio, figlio di Giovanni signore di Bologna, Vitellozzo Vitelli signore di Città di Castello e Liverotto Eufreducci signore di Fermo.
Nella riunione che seguì il loro arrivo, durata qualche giorno, i convenuti, stabilirono di opporre le proprie armi a quelle del Valentino. I partecipanti alla congiura, del resto, erano tutti uomini d’arme, condottieri più o meno potenti e in grado di schierare contingenti militari di una certa consistenza. La strategia da seguire era semplice: si sarebbe messo in campo un esercito forte di 700 lance, 400 balestrieri e 5.000 fanti, dichiarando guerra a Cesare Borgia. Forti di questo esercito avrebbero riconquistato il ducato di Urbino ai Montefeltro. Dopo questa operazione ciascuno dei congiurati avrebbe continuato le ostilità: Ermes Bentivoglio e il padre Giovanni nel territorio imolese, mentre gli atri nelle Marche settentrionali. Questo fu quanto stabilito in quella che è passata alla storia come la dieta – congiura – tenutasi alla Magione, nel perugino (Niccolò Machiavelli, Il Principe, VII). In quei giorni le mura della Badia avevano ospitato soggetti di primaria importanza nella politica e nella vita di quei tempi; quanto da essi stabilito poteva cambiare il corso della storia di quel periodo o, quanto meno, accelerarlo. Del resto la determinazione mostrata da costoro era tanta e alle parole seguirono i fatti. Le operazioni belliche interessarono subito la rocca di S. Leo, mentre la rivolta infiammava i territori di Urbino e di Camerino, città dalle quali furono cacciate le truppe lasciatevi a presidio dal Valentino. Allo stesso tempo Gian Paolo Baglioni con le sue truppe occupava Gubbio e, tra le altre cose, aveva così il modo di vendicare in parte la congiura che solo due anni prima aveva quasi sterminato la sua famiglia. Tra quanti tenevano questa città per conto del Valentino, infatti, vi era anche Girolamo della Staffa, che era tra i partecipanti alla strage dei Baglioni; per lui Gian Paolo non usò pietà e lo fece decapitare in Perugia qualche giorno dopo.
Le notizie della congiura e delle successive rivolte di Urbino e di Camerino giunsero inaspettate al Valentino che, tuttavia, seppe reagire; riuscì prima a dividere i congiurati e poi, ad uno ad uno a farseli amici. Quattro di essi, Liverotto da Fermo, Vitellozzo Vitelli nonché Paolo e Francesco Orsini, rifiutando i consigli loro dati da Gian Paolo Baglioni, accettarono un incontro chiarificatore con il Valentino a Senigallia verso la fine di dicembre del 1502. Fatti accomodare i suoi ospiti in una sala addobbata a festa, Cesare Borgia si allontanò con una scusa dando così il segnale ai suoi sicari che subito strangolarono Liverotto e Vitellozzo mentre altri soldati catturavano gli Orsini la cui sorte non fu certo migliore: condotti come prigionieri a Città della Pieve subirono qui lo stesso trattamento. Per Gian Paolo Baglioni la sorte fu più benevola anche se non mancarono pure per lui giorni difficili. All’inizio del 1503 si vide costretto ad abbandonare Perugia con tutta la sua famiglia e la sua fazione per volere di Alessandro VI. Rifugiatosi dapprima come esiliato a Siena fu costretto a partirsene alla volta di Pisa sempre perseguitato dal Borgia, trovando finalmente rifugio in Firenze, dove era ancora viva l’antica e salda amicizia con Perugia. Ma la morte di Alessandro VI, nell’agosto del 1503, decretò la repentina caduta delle fortune del Valentino che si vide costretto alla fuga per riparare in Navarra. Gian Paolo poteva così rientrare in Perugia nel mese di settembre.

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