personaggi storici

A. Fabretti, Biografie dei capitani venturieri dell’Umbria, II, Montepulciano 1843; P. C. Decembrio, Vita Nicolai Piccinini, in R. I. S., XX; G. B. Poggio, Vita di Niccolò Piccinini, traduzione italiana a cura di P. Pellini, Perugia, 1636.



Caligiana
NICCOLÒ PICCININO
Nato a Caligiana nel 1386, il Piccinino fu così chiamato per la piccolezza della statura. Ancora bambino si trasferì a Perugia dove il padre esercitava l’arte di macellaio. Rimasto orfano all’età di dieci anni, sembra sia stato avviato al mestiere di lanaiolo che tuttavia abbandonò ben presto per seguire il capitano Bartolomeo Sestio, nella cui compagnia sembra aver messo in mostra le sue doti di combattente. Alla morte del Sestio, di cui aveva sposato la figlia Gabriella, nel primo decennio del Quattrocento passò al servizio di Guglielmo Lancellotti e dopo la morte di costui, nel 1411, si arruolò nell’esercito di Braccio da Montone. Nel 1416 risultò determinante nella riconquista di Perugia da parte del suo capitano che ne divenne signore; ciò gli giovò il comando di una compagnia di 100 cavalieri. Seguito Braccio nelle varie campagne, in Umbria e nelle Marche, nel Lazio e nel Regno di Napoli, alla morte di costui nella sfortunata battaglia dell’Aquila ne ereditò di fatto il comando delle truppe. Per di più, occorre sottolinearlo, egli era riuscito anche a stabilire legami di parentela con la famiglia dei conti di Montone. Infatti, dopo la morte della prima moglie – c’è chi sostiene sia stata uccisa dallo stesso Niccolò per gelosia –, egli si era risposato con una sorella di Braccio. Postosi al servizio dei Fiorentini se ne ritirò nel 1425, allo scadere della sua condotta nell’ottobre di quell’anno. Tenuto sulle corde dagli stessi governanti di Firenze, che non fornivano le dovute garanzie sul rinnovo del contratto, nel novembre si mise al soldo del signore di Milano, Filippo Maria Visconti. Si trovò così a combattere, nel biennio 1426-1427, le truppe veneziane, mentre nel 1430 risultò fondamentale nella liberazione di Lucca assediata dall’esercito di Firenze. Nel 1431 combatteva insieme a Francesco Sforza contro il Carmagnola e con costui riuscì a sconfiggere la flotta veneziana a monte di Cremona, dopo che le navi avevano risalito il Po. La stella del Piccinino era ben alta e risplendeva nel firmamento di quelle dei capitani di ventura; l’ora del tramonto era ancora lontana. Nel 1432, nominato dal signore di Milano capitano generale e concessogli il privilegio di aggiungere al suo anche il cognome Visconti, vinceva ancora i veneziani e assicurava al suo signore il possesso della Valtellina poco dopo essersi rimesso dalla ferita di una freccia che aveva subito a Pontoglio, non lontano da Pontevico, nel bresciano.
Dopo un biennio di relativa calma il duca di Milano rivolse la sua attenzione alle terre della Chiesa e, nel 1434, il Piccinino era a capo dell’esercito che si portò in Emilia. Qui, a Castel Bolognese, il 28 agosto vennero sbaragliate le truppe pontificie al comando di Niccolò da Tolentino: Bologna era conquistata al duca di Milano. Ancora un biennio di relativa calma prima che, nel 1436, si fosse concretizzato il tentativo di prendere Genova, tentativo che tuttavia fallì e al quale seguì, l’8 febbraio 1437, la sconfitta di Barga in cui il condottiero di Caligiana fu battuto dallo Sforza. Lungi dall’iniziare la fase calante dell’attività e della fortuna del Piccinino, il triennio 1438-1441 sembra connotarsi come quello culminante e più splendente. Fu infatti nel 1438 che il nostro riuscì a conquistare al duca di Milano l’intero contado di Bologna, Imola e Faenza togliendo ad Eugenio IV il controllo dell’intera Romagna. Tornato nella tarda primavera in Lombardia fu incaricato di riprendere la guerra contro Venezia e lo fece da par suo. Forzato il passaggio dell’Oglio dopo averlo disceso per dodici miglia costrinse il Gattamelata – Erasmo da Narni –, al soldo di Venezia, a riparare in Brescia e pose l’assedio alla città. Il narnese riuscì tuttavia a sfuggirgli e operare la famosa ritirata che, attraverso la Val di Ledro, gli consentì di riparare in Verona. Nel 1439, con Brescia ancora cinta d’assedio, egli si spinse fino a Padova ma l’arrivo dello Sforza complicò le cose al Piccinino e, il 9 novembre, venne sconfitto a Tenna, nel Trentino. Dopo aver riparato a Peschiera con un fulmineo colpo di mano occupò Verona, ma con altrettanta rapidità Francesco Sforza la recuperò. L’anno seguente egli compie una digressione che lo portò ad occupare Perugia, ma nel ritornare verso nord fu vinto nella famosa battaglia di Anghiari (29 giugno 1440) dal signore di Cotignola, Michele Attendolo, cugino di Muzio Attendolo Sforza. Al suo ritorno in Lombardia riprese la lotta con Francesco Sforza e, dopo averlo respinto da Cignano, nel bresciano, nella tarda primavera del 1441 lo mise alle strette serrandolo tra le sue schiere e il castello di Martinengo al cui interno vi erano sempre suoi uomini. A questo punto il Piccinino, tolto di mezzo il suo grande rivale, poteva divenire arbitro delle sorti della penisola italiana. E questo, neanche a dirlo, il Visconti lo comprende bene, al punto che diede ordine di sospendere le ostilità e concesse la mano della sua figlia naturale, Bianca Maria, allo Sforza. L’occasione fu perduta per sempre, anche perché la fortuna del condottiero di Caligiana iniziava a declinare. Combattendo il suo rivale nelle marche nel 1442-1443, subì una grave sconfitta a Montelauro. Egli però poteva rifarsi e già predisponeva la rivincita quando il signore di Milano, geloso della grandezza del Piccinino, lo richiamò presso di sé. In sua assenza le sue schiere vennero annientate da Francesco Sforza a Montolmo il 19 agosto 1444. Per il dolore che ciò finì per provocargli, Niccolò si ammalò e poco dopo, il 15 ottobre, moriva.

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