luoghi naturali

Il lago...uno spazio domestico. Studi in memoria di Alessandro Alimenti, a cura di G. Moretti, G. Baronti, A. Batinti, L. Beduschi, G. De Veris, E. Gambini, «Quaderni del Museo della Pesca del Lago Trasimeno», 3, Magione 1997; L. CUCCHIA, Gli ambienti del Trasimeno, I quaderni della Valle n.5, Perugia 2004; La Trasimenide di Matteo dall'Isola, seconda edizione con volgarizzamento e note per opera dell'ab. Raffaele Marchesi, pubb. prof. nel Comunale Liceo di Perugia, Perugia 1846; L. DOGANA, La canna palustre come antenna ecomuseale. Strategie di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e naturalistico del settore orientale del lago Trasimeno, Tesi di Laurea, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Perugia, relatore Prof. Sandro Piermattei a.a. 2008-2009; W. DRAGONI, Il Trasimeno e le variazioni climatiche, Provincia di Perugia; GAMBINI E. (1995), Le oscillazioni di livello del Lago Trasimeno, «Quaderni del Museo della Pesca del Lago Trasimeno», 2, Perugia 2007; M. MONTEFAMEGLIO, Il canneto. Un contributo scientifico per le buone pratiche di gestione del lago Trasimeno, Perugia (s. d.); M. NATALI, I pesci del Lago Trasimeno, Perugia 1993; PIO V, Costituzione ovvero cedola del Lago Trasimeno o perugino nuovamente riformata dalla Reverenda Camera Apostolica con ordine di N.S. Pio V Vitellozzo Vitelli per grazia di Dio, Cardinale Diacono di S. Maria in Via, Camerlengo della Santa Romana Chiesa, Roma 1566; G. RIGANELLI, San Savino: una comunità e il suo territorio nell’antichità e nell’età di mezzo, in San Savino e il suo territorio nel corso dei secoli, a cura di G. Riganelli, San Savino (Magione) 2010, pp. 1-41; L’archivio e la biblioteca del Consorzio bonifica Trasimeno, a cura di M. Squadroni, Perugia 1996.


San Savino
IL CANNETO DEL TRASIMENO
Il canneto è un elemento fortemente caratterizzante dell’ecosistema Trasimeno. Il suo valore ecologico, culturale e simbolico lo rende un habitat unico e ricco di risorse. La massima estensione è raggiunta in corrispondenza delle sue sponde sud-orientali, nella zona denominata "la Valle”, compresa nel tratto lacustre di Sant’Arcangelo, San Savino e San Feliciano, mentre la cinta di canne si dirada fin quasi a scomparire nel versante settentrionale.Chiave è la sua funzione di controllo dell’eutrofizzazione dell’acqua, in quanto limita lo sviluppo di alghe e facilita la rimozione dall’acqua di inquinanti organici, metalli pesanti e nutrienti, sia assorbendoli ed intrappolandoli, che ossigenando i fanghi di deposito. Lungo tutta la costa è la componente vegetale più costante, divisibile in una parte più esterna, che si sviluppa sul terreno fangoso e umido e in una più interna, parzialmente ricoperta dall’acqua. La zona umida costituisce un anello molto importante della catena alimentare lacustre, difatti è popolata da un’abbondante e differenziata componente faunistica, come invertebrati, plancton, anfibi, rettili e mammiferi. La zona d’interazione tra canneto e ambiente acquatico rappresenta un supporto per le uova o di rifugio per molte specie di pesci, soprattutto per tinche, anguille, lucci, carpe. Sono presenti numerose varietà di volatili migratori e stanziali, un fenomeno favorito anche dalla trasformazione in oasi naturalistica. Per la sua valenza culturale, il canneto ha costituito un microcosmo in cui si trovano le radici della memoria comunitaria lacustre e dell’identità del luogo. Le pratiche locali della lavorazione delle canne e delle erbe palustri erano culturalmente costituite, trasmesse nell’ambito familiare, poiché queste hanno rappresentato da sempre un bene facilmente reperibile e commercializzabile nelle forme più varie. Nel mondo antico sono esistite vere e proprie economie primitive palustri, a cui si riferiscono i frequenti rinvenimenti di reperti archeologici sulla collina e nei pressi dell’emissario di San Savino, risalenti al periodo protovillanoviano. La zona paludosa offriva numerose risorse alla popolazione locale: cacciagione, pesce, legna, canna palustre e tutto ciò che poteva essere utile alla sussistenza. Ciò dimostra come la Valle sia stata frequentata e la canna palustre probabilmente sfruttata come risorsa, anche se, a causa del facile deperimento del materiale, non ne sono restate testimonianze. Si può risalire alle prime testimonianze dell’utilizzo di canna palustre nelle fonti letterarie antiche, Strabone narra di fiorenti commerci con Roma attraverso ipotetici fiumi, emissari che dai laghi arrivano fino al Tevere. Fin dal XVI secolo, la normativa vigente sul lago aveva fissato le modalità del taglio delle erbe palustri contese da pescatori e frontisti. Tale questione fu dibattuta per secoli, dimostrando coma la canna abbia rappresentato unbene largamente richiesto dal mercato sia delle comunità locali, che da quelle confinanti. Molte erbe palustri sono state impiegate, fino ad un passato recente, come materie prime nella preparazione di oggetti di uso quotidiano. La canna palustre (Phragmitetum australis) è la specie per cui si trovavano più impieghi, senza dimenticare le altre varietà utilizzate, come Carice (Carex riparia Curtis) e la Stiancia (Typha latifolia L.), ormai quasi scomparse dalle sponde del lago. Le cime spuntate erano adoperate come foraggio e lettiera per il bestiame, per la conservazione del pesce nelle ceste ed anche, pressate, come combustibile per le stufe e i camini. L’inflorescenza, opportunamente essiccata e tritata, serviva ad imbottire materassi e cuscini, mentre quella umida, bruna, per fare gli scopetti. Mentre con il gambo si intelaiavano stuoie, impiegate per realizzare coperture, tetti e sistemi per la pesca. Il cammino verso l’oblio si è verificato a causa dell’avvento di nuovi materiali plastici che hanno contribuito alla loro sostituzione a favore di prodotti economicamente più convenienti, provenienti dalla concorrenza internazionale. Oggi le stuoie sono prodotte da due sole aziende, commercializzate per usi nell’agricoltura, in floricoltura e per costruire secondo i principi della bioedilizia. Le stuoie sono particolarmente traspiranti e sono un ottimo isolante termico ed acustico per tetti e per pareti, sia interne che esterne. Un’altra applicazione è l’utilizzo negli impianti di fitodepurazione, per le sue caratteristiche disinquinanti.

Un ulteriore valenza è quella simbolica, in particolare nella zona della Valle. Il canneto traccia il confine tra l’area antropizzata e il lago. È una zona demaniale, facilmente accessibile solo in punti circoscritti e scarsamente frequentato. È un paesaggio umido, i passaggi per addentrarsi sono generalmente nascosti, caratterizzati da una presenza vegetativa molto fitta di difficile percorrenza. Ma, ascoltando i racconti delle persone più anziane e leggendo le ricerche sull’attività antropica nella zona emerge dal recente passato un’assidua frequentazione di tale ecosistema, nonostante si tratti di un mondo che è sempre stato marginale rispetto a quello dell’agricoltura, di un ambiente pensato come selvatico, in grado di ostacolare il pieno utilizzo turistico e agricolo dei tratti di sponda in cui si sviluppa. Fino alla fine della mezzadria la comunità della Valle si era sempre presa cura del canneto e del territorio circostante, giacché costituiva un’importante fonte di reddito. Il territorio demaniale era preso in affitto dai frontisti, che poi lo davano in gestione, frazionato, a famiglie mezzadrili e ai pescatori del posto. Ognuno aveva il suo pezzetto di terra, molto fertile, e di canneto, molto pescoso. Questa proprietà era molto mobile poiché essa dipendeva dal livello delle acque: tale oscillazione implica un’alternanza nello sfruttamento dell’area che spesso coinvolgeva le stesse famiglie che sfruttavano sia le terre da lavorare, sia il canneto per pescare. La fertilità delle terre e lo sfruttamento delle risorse del canneto comportava una cura costante del territorio. La comunità locale manteneva il controllo di tale habitat in modo costante e capillare: il canneto veniva coltivato, i canali erano mantenuti puliti, i culmi secchi che fuoriuscivano durante l’inverno erano rimossi e veniva bruciato dopo il taglio delle canne. Tali pratiche consentivano di avere un canneto sempre sano. Dopo che l’agricoltura e la pesca hanno lasciato definitivamente il primato all’industria e al terziario, si è assistito ad un progressivo allontanamento degli attori locali dai tradizionali luoghi di lavoro, implicando un progressivo deterioramento e l’espansione di boschi igrofili. La presenza e le attività umane hanno da sempre contribuito a preservare tale spazio, dunque il canneto non può essere inteso come un semplice dato naturale, ma un dato che esige il lavoro dell’uomo per esistere.


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